sabato 22 febbraio 2014

12 Anni Schiavo di Steve McQueen


A parte qualche cortometraggio, Steve McQueen si fa conoscere al pubblico nel 2008 grazie a "Hunger", dramma di grande impatto emotivo, in cui uno straordinario Michael Fassbender interpreta un detenuto dell'IRA nell'Irlanda del Nord, protagonista di un letale sciopeo della fame e vittima dei soprusi delle guardie. Dopo il grande e meritatissimo successo, nel 2011 il regista realizza Shame, altra grandiosa pellicola che consacra definitivamente Fassbender, premiato a Venezia con la Coppa Volpi. In questo caso la vicenda si svolge a New York e il personaggio principale è un uomo d'affari dipendente dal sesso che vive una vita solitaria ed isolata. Ok. Tutto questo per dire che Steve McQueen è un regista sapiente e capace, e che troppo pochi probabilmente conoscono. Almeno sino ad ora.
Siamo nel 1841 e la guerra di Secessione non è ancora scoppiata. Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un violinista di colore che vive nella contea di Saratoga a New York da uomo libero. Ha moglie e due figli e conduce una vita felice. Fino al giorno in cui incontra due falsi artisti itineranti che lo ingannano e fanno rapire. I suoi carcerieri poi lo privano dei documenti e lo deportano nella Louisiana. Venduto come schiavo, dopo una serie di vicissitudini, finisce a lavorare nei campi di cotone dello schiavista Edwin Epps (Michael Fassbender), tanto credente in Dio quanto brutale verso i propri lavoratori, vittime mute di indicibili soprusi.
Maestoso. Forse non è la parola più adatta a definire un film di questo genere ma è la prima che mi è venuto in mente una volta iniziati i titoli di coda. Del resto se ripenso alla bellezza della fotografia, al livello della recitazione e alla sapienza, all'eleganza e alla capacità della regia, continuo a ritenere che sia quella più consona. Senza incorrere nei classici spoiler, ci sono dei passaggi letteralmente in grado di togliere il fiato, sia per qualità tecnica, sia per impianto visivo, sia per carico emotivo. La scena dell'impiccagione credo sia uno dei momenti più alti di tutto il film. La telecamera rimane ferma per due/tre minuti costringendoti a guardare il corpo dell'uomo contorcersi mentre tenta di reggersi in piedi, i colori sono così carichi che inzi a sudare. Ti aspetti che da un momento all'altro arrivi qualcuno a tagliare la corda per porre fine alle sofferenze e invece l'uomo rimane lì, gli altri schiavi continuano il loro lavoro, il sorvegliante rimane ad osservare con il fucile in mano. Vorresti distogliere lo sguardo, dire al regista di cambiare scena. E invece no. Per oltre due ore lo spettatore viene costretto ad osservare impotente tutte le più brutali angherie a cui gli schiavi vengono sottoposti, a come il loro io viene distrutto pezzo dopo pezzo, a come le loro speranze vengono infrante. Pugno nello stomaco dopo pugno nello stomaco, senza filtri o falsi buonismi e soprattutto - e questa è una cosa che in pochi sono riusciti a fare - senza fornire facili vie di fuga. Non si tratta di uno di quei film che una volta visti ti lasciano andare a dormire con la coscienza a posto. No. Non è un mezzo di catarsi ma quasi un monito, per ricordarci di come l'ignoranza e la crudeltà possano trasformare l'uomo in animale. E da questo punto di vista il lavoro svolto da Fassbender (attore-feticcio?) è come al solito egregio. Esattamente come quello di Ejiofor, nei panni del protagonista. Il resto del cast è una corposa sfilata di divi più o meno famosi che stanno troppo poco in scena per essere degni di nota (Paul Giamatti, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Sarah Paulson e Brad Pitt sono i nomi più caldi).
Non so se l'Academy premierà o meno "12 anni schiavo". Come ho scritto poco fa, non è un film positivo, di quelli che ti lasciano con il sorriso sulle labbra, di quelli in cui i protagonisti sono eroi e i cattivi vengono sconfitti (le analogie con "The wolf of Wall Street" di Scorsese sono evidenti). Quello che posso dire con certezza e che si tratta di una pellicola eccezionale, che sfiora il capolavoro e che lascia un profondo segno.

domenica 2 febbraio 2014

The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese

 
Credo che Martin Scorsese sia uno dei pochissimi registi - viventi e non - a non avere mai sbagliato un film. Qualcuno può essergli riuscito meno bene ma nel complesso nessuno può essere definito brutto. Un esempio lampante è "L'età dell'innocenza", pesante e a lungo andare anche noioso ma superbo nella regia e nella resa scenica. Quando presenti, i difetti vengono sempre ampiamente compensati dai pregi. E, alla soglia dei 72 anni, con una carriera come la sua alle spalle, Scorsese realizza l'ennesimo, grandioso film.
Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio) è un giovane broker che al suo primo giorno di lavoro perde il posto per un tanto improvviso quanto catastrofico crollo della borsa. Convinto dalla moglie a non gettare la spugna, viene assunto in un call center che si preoccupa di vendere alla povera gente azioni dal valore pressoché nullo. Grazie al suo stile aggressivo, alle capacità dialettiche e all'intenso uso di droghe (che insieme al sesso e al denaro costituisce il suo personale trio di passioni/ossessioni), in breve tempo riesce ad ottenere guadagni enormi. Insieme al suo amico/collega Donnie Azoff (Jonah Hill) e a pochi altri conoscenti mette in piedi una società che, con una fitta rete di truffe e raggiri, permette enormi guadagni. Guadagni che ben presto attirano le attenzioni di un implacabile agente FBI.
Lo dico subito: è un film immenso sotto tutti i punti di vista. A partire dalle durata: 180 minuti non sono una passeggiata per nessuno. Fortunatamente qui siamo al cospetto di grande cinema, dunque il minutaggio passa in secondo piano e non ci si accorge del passare del tempo. Questo succede grazie ad una regia maestosa e ad un ritmo che oserei definire forsennato. Non c'è un secondo di pausa, gli eventi si susseguono in maniera vertiginosa, i personaggi corrono a destra e sinistra, senza quasi avere il tempo di respirare. E lo spettatore in men che non si dica viene stordito e trascinato in questo irresistibile vortice di denaro, droga e sesso. Tutti questi aspetti sono mostrati in maniera piuttosto esplicita anche se con il tono 'leggero' della commedia. A tal proprosito è incredibile notare con che destrezza e abilità Martin Scorsese riesca a districarsi tra differenti generi cinematografici. Dato il risultato complessivo di altissimo livello pare impossibile che sia lo stesso regista di pellicole come "Shutter Island", tanto per citare una di quelle più recenti. E come in "Shutter Island", ecco l'attore feticcio di Scorsese, Leonardo DiCaprio, autore di una prova - ecco di nuovo il termine - immensa. Come accade molto spesso ultimamente, il personaggio di Jordan Belfort gli sembra essere stato cucito addosso e dimostra ancora una volta che quando si ha bisogno di una prova molto fisica, fatta di urli, salti e movimenti rabbiosi, DiCaprio - che naturalmente non vincerà l'Oscar - non ha attualmente eguali nel panorama mondiale (forse solo Joaquin Phoenix riesce a tenergli testa). Pochi altri infatti avrebbero potuto reggere tre ore di cinema sulle proprio spalle senza perdere colpi. E' interessante a questo punto notare come il rulo ricoperto da DiCaprio nel cinema di Scorsese ricalca un po' quello che fu di Robert De Niro, in un sodalizio che produsse vere e proprie pietre miliari della storia, il cui punto più alto rimane a mio parere "Toro Scatenato". Non dimentichiamoci però di altri capolavori, come "Quei Bravi Ragazzi" e "Taxi Driver". Le collaborazioni più recenti non sono ancora allo stesso livello ma i presupposti per fare altrettanto bene ci sono tutti. Tornando a noi, prima di proseguire non posso non citare anche Jonah Hill, l'unico attore e l'unico personaggio che riesce a non sfigurare di fianco al protagonista. Notevole e molto credibile poi la ricostruzione storica degli anni '80: non siamo ai livelli degli anni '70 di "American Hustle" ma considerando la cura maniacale di quest'ultimo non c'è davvero di che lamentarsi. Superiore invece la colonna sonora, sempre consona e ben amalgamata alla sceneggiatura.
Direi che le parole spese finora siano più che sufficienti a descrivere la mia ammirazione per quest'opera. Sono tre ore di grande cinema. Ci si diverte, si ride e si riflette. E si ammira un maestro all'opera.